Tuina dei campi concentrici

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"Dragare", voce del verbo?

La fase espansiva dell’anno è già arrivata al suo culmine. Ce lo racconta il grano, pronto per essere mietuto; è lui la spia, l’indizio che ci rivela esattamente a che punto siamo, indipendentemente dal calendario o dal fatto che le stagioni siano in anticipo o in ritardo. Se l’anno è cominciato il 10 febbraio, ci si aspetterebbe che il culmine fosse dopo sei mesi, ad agosto, no? Ma quello che viviamo adesso non è il culmine del caldo, bensì il culmine dell’espansione, di quella forza propulsiva che spinge le gemme a rompere le scorze e le piante ad arrivare alla sua massima altezza, per poi fiorire e fruttificare. In medicina cinese questa forza appartiene all’elemento legno e alla primavera. Va tenuto conto anche che, osservando i cicli annuali, quest’anno non c’è stata una primavera “normale”, perché siamo in un anno del Drago abbinato proprio al legno. L’ultima volta è avvenuto sessanta anni fa.

Essere in sintonia con la natura, coltivare una pianta o osservare come cambia il paesaggio, quale specie è fiorita prima, quale dopo, è l’obiettivo di uno dei rami del mio metodo: “un giardino come cura“. Perché sintonizzarsi con le stagioni permette non solo di star bene, ma di riflettere sulle fasi della nostra vita e nutrire progetti, rapporti, risorse interiori nei modi e nei tempi più consoni per noi.

Molte delle persone con cui sono in contatto si sono confrontate, chi con entusiasmo, chi con difficoltà, con una serie di eventi o di opportunità che possiamo ricondurre alla sfida lanciata dal Drago. In modi diversi, ognuno ha “raccolto” qualcosa che era stato dimenticato e per diversi motivi: distrattamente accantonato per non disturbare la zona comfort, spostato per lasciare spazio ad altri che sembravano più importanti di noi, opportunamente rimosso per non affrontare un dolore troppo grande… 

Per ognuna delle persone, per ognuno degli eventi, un movimento risaltava su tutti: raccogliere; proprio come fa una draga, una macchina escavatrice meccanica, che scava nel profondo per tirar fuori i sedimenti. Curioso come il verbo italiano “dragare“, derivato dall’inglese to drag (“trascinare”), finisca per risuonare con il movimento del Drago, che trascina le nostre vite, affonda gli artigli nelle nostre profondità e ci porta davanti agli occhi quanto stava sotto il livello della superficie.

Consideriamola un’azione poetica. Alla poesia tutto è concesso, anche aprire varchi inesplorati senza giustificazioni logiche. Anche giocare con le parole senza rendere conto ai dizionari etimologici, così come fanno i bambini. E con gli occhi stupiti di un bambino proviamo a guardare la perfezione di un campo di grano maturo, il suo colore sognante, il suo suono frusciante… E domandiamoci quale altro raccolto glorioso abbiamo portato alla nostra coscienza in questi irripetibili giorni. 

(Una dedica speciale alla mia amica Martina)