Tuina dei campi concentrici

Le "parole piene" di Lucia

Intervento di Paola Campinoti

Sabato 10 maggio 2025, la poetessa Lucia Succi ha presentato la sua terza raccolta, Stelle avverse, al Ridotto del Teatro del Popolo del suo paese, Castelfiorentino, alla presenza delle autorità istituzionali.

Oltre a scrivere la prefazione del libro, Lucia mi ha chiesto anche di intervenire alla presentazione. 

Chi segue il mio blog sa quanto sia importante per me la poesia; fonte, se ben selezionata e compresa, di salute profonda. Una sezione del mio metodo “Tuina dei campi concentrici” ha il nome di “Sessioni di metafora & C.”, in quanto la poesia può diventare una via terapeutica che ci insegna a passare da un piano all’altro e a trovare vie laddove non sembra che ve ne siano. In linea con quanto ci passa Lucia Succi con la sua ultima raccolta, che scrive nonostante o grazie le “stelle avverse”.

A gentile richiesta, per coloro che non hanno potuto partecipare all’evento, riporto dei passi tratti dal mio intervento:

«[…] Calo l’asso della provocazione: la poesia non è fatta di parole. […] Che poi sembrano parole, si chiamano parole, sono travestite da parole, ma insomma proprio o solo parole non sono… le parole della poesia hanno un peso specifico diverso e anche un suono diverso, come le spighe cariche di grano rispetto alle spighe vuote. Hanno un altro suono, perché sono piene.

Mi spiego, le parole che uso anch’io adesso servono a comunicare, girano, scorrono, di bocca in bocca, di testo in testo, di social in social ma, purtroppo, sono soggette a una specie di entropia: più si usano, più si conoscono, più si consumano, più subiscono una costante perdita di energia e diventano anonime. Proprio perché di tutti non sono più di nessuno.

Poi arrivano i bambini che scardinano tutte le regole […] e quelle che erano espressioni chiarissime, alla luce della loro logica diventano non-sense. I bambini sono una denuncia vivente del vuoto che si cela dietro le nostre parole.

Ma ci sono anche le poetesse (e quando dico “poetesse” sottintendo anche “i poeti”), quelle che nel cuore hanno conservato intatto il meccanismo dello stupore di fronte al mondo, e che insistono a costo di essere fraintese, a costo di essere derise, a costo di non essere neanche ascoltate, coraggiosamente, a usare ogni parola con una consapevolezza dimenticata.

Le poetesse non dimenticano, non demordono, non possono smettere di produrre parole che recuperano un senso antico per farlo rivivere, non possono smettere di risvegliare le parole dall’anestesia in cui sono immerse, non possono proprio come non potrebbero uscire dalla propria carne, e questo è spesso una condanna: quella di vedere lo strazio, lo stupro delle parole piene che vengono svuotate di senso.

[…] Nella poesia di Lucia c’è il suo sangue.

Guardate bene, le parole di Lucia sono vestite da parole, ma in realtà sono sguardi. Mentre leggi, la poesia prende i tuoi occhi e ti fa vedere altro, ti fa vedere oltre. Ti fa vedere come dare giustizia, come scavare la via del perdono, come cercare, cercare, ancora cercare il varco segreto nel reale. […]

A cosa serve la poesia e in particolare quella di Lucia? Per me la risposta è: a sgretolare la comunicazione di ogni giorno, sempre più anonima e che ci rende anonimi perché, pensateci bene, per assurdo spesso parliamo di noi solo con le parole degli altri.

Per rompere questo corto circuito della comunicazione occorre un atto imprevisto e deciso. La poesia, infatti, non è una rappresentazione fantasiosa: è un’azione, è un’incursione in terra straniera. Ci prende per mano e traccia una via che non esiste, una via che bisogna costruire, a fatica, a colpi di machete, dentro la giungla delle parole consuete, per cercare una verità non facile da trovare, non alla portata di tutti, ma conquistata a caro prezzo (più caro di quanto si pensi) per tutti, ma proprio tutti».

Sicuramente per me. E gliene sarò per sempre grata.Il palco e la locandina